mercoledì 22 febbraio 2012

Krishnamurti:Il pensiero genera la paura



Mi sembra che sia sempre un bene essere seri, a maggior ragio­ne se stiamo seduti qui per parlare di cose serie. Abbiamo bi­sogno di una certa attenzione, di una certa capacità di penetra­zione e di una profonda indagine sugli svariati problemi che ciascuno di noi ha e su quelli che il mondo sta affrontando. Com’è noto, non solo in questo paese, ovunque nel mondo, il caos, l’estrema confusione e la miseria umana in ogni forma non accennano a diminuire, Sebbene vi sia un grande benesse­re, l’Occidente ha molti problemi, non solo dal punto di vista economico e sociale, ma a un livello molto più profondo. La ribellione tra i giovani continua; essi non accettano più la tradizione, l’autorità, il modello della società.

E quando si giunge in questo paese, come facciamo ogni anno, si assiste al rapido declino, alla povertà, alla totale indifferenza nei confronti degli esseri umani, al sofisma politico, all’assolu­ta cessazione di qualsiasi profonda ricerca religiosa, alla guerra tribale fra i vari gruppi e al digiuno per questioni insignifican­ti. Quando la casa sta bruciando, quando c’è un simile caos, una simile miseria, passare la propria vita o anche soltanto mettersi in mostra su questioni insignificanti, denota il livello mentale di coloro che vengono ritenuti capi religiosi o politici.

Anche quando tutti questi fatti vengono osservati, non solo esteriormente, da un punto di vista organizzativo, economico e sociale, ma altresì interiormente, prescindendo da ogni ripetersi di tradizioni, prescindendo dai modelli di pensiero approvati e dalle innumerevoli banalità che vengono dette, e quando inte­riormente si vada profondamente al di là di tutto ciò, si scoprirà che c’è un grande caos, una grande contraddizione. Non si sa che cosa fare. Si è sempre alla ricerca, senza posa; passando da un libro all’altro, da una filosofia all’altra, da un maestro all’al­tro. E ciò che stiamo effettivamente cercando non è la chiarez­za; non è la comprensione della reale condizione della mente, ma piuttosto le vie e i mezzi per sfuggire a noi stessi. Le religio­ni, in forme diverse, in ogni parte del mondo, hanno offerto questa fuga e noi ci accontentiamo di tentare di scoprire un ri­fugio comodo, piacevole, soddisfacente. Quando si osserva tutto ciò – l’aumento della popolazione, la totale insensibilità degli esseri umani, l’assoluta indifferenza verso i sentimenti altrui, le vite altrui, la completa negligenza della struttura sociale – ci si domanda se da questo caos possa scaturire l’ordine. Non un ordine politico – la politica non può mai stabilire l’ordine, né pos­sono farlo una struttura economica e un’ideologia differente. Ma noi abbiamo bisogno di ordine, dato che, sia esteriormente sia interiormente, c’è un estremo disordine di cui si è casualmente, vagamente, speculativamente consapevoli. Si ha la sen­sazione che i problemi siano immensi. L’incremento demografico è così rapido che ci si chiede: «Che cosa posso fare io come essere umano che vive in questa miseria caotica, nella violenza, nella stupidità? Che cosa posso fare?» Di certo dovete esservi posti questa domanda se siete un minimo seri. E se ci si è posti questo interrogativo molto serio: «Che cosa si può fare da soli?» la risposta costante è: «Temo di poter fare ben poco per modificare la struttura della società, per portare ordine, non soltanto all’interno ma anche esteriormente».

E di solito ci si pone la domanda: «Che cosa posso fare?» e invariabilmente la risposta è: «Ben poco». E qui ci si ferma. Ma il problema esige una risposta molto più profonda. La sfida è così grande che tutti noi dobbiamo farvi fronte totalmente, non con una risposta condizionata – non come hindú, buddhi­sti, musulmani, parsi, cristiani; tutto ciò è morto, andato, finito; non ha più alcun significato, se non per il politico che sfrut­ta l’ignoranza e la superstizione. Le scritture, le cose dette dai filosofi, dalle autorità religiose, con le loro sanzioni, con le loro richieste a cui voi ubbidite, che voi accettate, hanno perduto del tutto qualsiasi significato per l’uomo che è consapevole, che è conscio dei problemi del mondo.

Sapete, l’uomo ha perduto la fede in ciò che credeva. Non se­gue più nessuno. Sapete che cosa accade politicamente quan­do il pubblico lancia scarpe e pietre all’oratore? Significa che
si sta liberando dalla leadership. Non vuole più che gli venga detto cosa fare. L’uomo è disperato. L’uomo è confuso. C’è moltissima afflizione. E nessuna ideologia, di sinistra o di de­stra, ha un qualche significato. Tutte le ideologie sono comun­que insensate. Non hanno significato quando si trovano di fronte al fatto reale del «ciò che è». Perciò, possiamo ignorare non solo l’autorità della leadership, ma anche quella del sacer­dote, quella del libro, quella della religione. Possiamo ignorarle tutte interamente, e dobbiamo farlo al fine di scoprire il ve­ro. E non potete neppure ritornare al passato. Sapete, in questo paese si sente spesso parlare dell’eredità dell’India, di ciò che l’India è stata. Parlano eternamente del passato, di ciò che l’India era. E di solito la gente che parla delle culture del passato ha una scarsissima profondità di pensiero; può ripetere ciò che è stato, quanto hanno detto i libri; ed è un utile nar­cotico con cui incantare la gente. Quindi, possiamo ignorare tutte queste cose, spazzarle via del tutto. Dobbiamo farlo, perché abbiamo dei problemi che richiedono un’enorme attenzio­ne, un pensiero profondo e un’indagine, non la ripetizione di ciò che qualcuno ha detto, per quanto grande egli possa essere. Così, quando abbandoniamo tutte le cose che sono state, che hanno provocato questa miseria immensa, questa brutalità e questa violenza assolute, allora affrontiamo i fatti, affrontia­mo effettivamente «ciò che è», sia esteriormente sia interiormente, non «ciò che dovrebbe essere». Il «ciò che dovrebbe essere» non ha significato.

Sapete, le rivoluzioni – come quella Francese, quella Russa, quella Comunista – sono state fatte in base a ideologie del «ciò che dovrebbe essere». E dopo aver ucciso milioni e milioni di persone, scoprono che la gente è stanca delle ideologie. Così, non siete più degli ideologi, dei capi. Non avete più nessuno che vi dica cosa fare. Ora affrontate il mondo per conto vo­stro, da soli, e dovete agire. Il vostro problema, dunque, si fa immensamente grande, spaventoso. Voi, come esseri umani, da soli, senza alcun sostegno da parte di chicchessia, dovete esaminare i problemi chiaramente, e agire senza alcuna confu­sione, in modo da diventare delle oasi in un deserto di idee. Sapete che cos’è un’oasi? È un luogo con qualche albero, dell’acqua e un piccolo pascolo in un vasto deserto in cui non c’è nulla, fuorché sabbia e confusione. Ecco ciò che ciascuno di noi deve essere al giorno d’oggi – un’oasi, in cui noi siamo – di modo che ciascuno di noi sia libero, limpido, non confuso, e possa agire non secondo l’inclinazione personale, o il proprio carattere, o perché costretto dalle circostanze.

La sfida è, dunque, enorme e non potete risponderle sottraen­dovi a essa. È alla vostra porta e, quindi, dovete ponderare. Dovete guardarvi intorno. Dovete scoprire da soli che cosa fare. Ed è ciò che faremo insieme. Chi vi parla non vi dirà cosa fare, perché per lui l’autorità non esiste. Ed è molto importan­te che comprendiate che qualsiasi autorità spirituale è terminata, poiché essa ha portato alla confusione, a un’infinita miseria, al conflitto. Soltanto i più sciocchi seguono.

Se siamo in grado, dunque, di accantonare ogni autorità, allora possiamo cominciare a indagare, a esplorare. E, per esplorare, dobbiamo avere l’energia non solo fisica ma anche mentale, per cui il cervello funzioni attivamente, non ottenebrato dalla ripe­tizione. È solo quando c’è attrito che l’energia viene dissipata. Per favore, seguite questo ragionamento ancora un po’. Non accettate quanto dice chi vi parla, perché ciò non ha senso. Sia­mo interessati alla libertà, non a un tipo particolare di libertà, ma alla libertà totale dell’uomo. Abbiamo, dunque, bisogno di energia, non solo per realizzare una grande rivoluzione psicolo­gica, spirituale in noi stessi, ma anche per indagare, per guardare, per agire. E fino a quando c’è un qualche genere di attrito, nel rapporto tra marito e moglie, tra uomo e uomo, tra una co­munità e l’altra, tra un paese e l’altro, esteriormente o interiormente; finché c’è conflitto, qualunque sia la sua forma, per quanto sottile possa essere, c’è uno spreco di energia. E si ha il colmo dell’energia quando c’è la libertà.

Indagheremo e scopriremo ora, per conto nostro, come essere liberi da questo attrito, da questo conflitto. Voi e io faremo un viaggio in esso, esplorando, indagando, domandando, senza mai seguire. Dunque, per indagare occorre la libertà. E non c’è libertà quando c’è paura. Siamo oppressi dalla paura, non solo esteriormente ma anche interiormente. C’è la paura este­riore di perdere il lavoro, di non avere cibo a sufficienza, di perdere la nostra posizione, la paura del nostro capo che si comporta in malo modo. Anche interiormente c’è moltissima paura – la paura di non essere e di non saper diventare un suc­cesso, la paura della morte, la paura della solitudine, la paura di non essere amati, la paura della noia estrema, e via dicendo. C’è così questa paura ed è essa che impedisce di indagare su tutti i problemi e liberarsene. È questa paura che impedisce un’indagine profonda all’interno di noi stessi.

Il nostro primo problema, il nostro problema essenziale è, quindi, liberarci dalla paura. Sapete che cosa fa la paura? Of­fusca la mente. La rende ottusa. A causa della paura esiste la violenza. A causa della paura esiste quel culto di qualcosa di cui nulla sapete. Inventate, quindi, delle idee, delle immagini – immagini create dalla mano o dalla mente, e svariate filosofie. E più siete intelligenti, più avete autorità nella voce e nel gesto, e più gli ignoranti vi seguono. Quindi il vostro primo interesse è scoprire se sia possibile essere totalmente liberi dalla paura. Per favore, ponetevi questa domanda e scopritelo.

Nel corso di questi quattro discorsi quello che state cercando di fare è provocare un’azione da parte di un essere umano in un mondo che è un deserto, che è nella confusione, che è fatto di violenza in modo che ciascuno di noi diventi un’oasi. E per scoprire e determinare quella chiarezza, quella precisione, di modo che la mente sia in grado di andare ben oltre ogni pensiero, prima deve esserci la libertà da qualsiasi paura.

Ora, per prima cosa, c’è la paura fisica,. che è una reazione animale – perché noi abbiamo ereditato molto dall’animale, gran parte della struttura del nostro cervello è eredità animale. Questa è una realtà scientifica. Non è una teoria; è una realtà. Gli animali sono violenti e violenti sono gli esseri umani. Gli animali sono ingordi; amano che li si blandisca; amano essere coccolati; amano vivere comodamente; e così fanno gli esseri umani. Gli animali sono avidi, competitivi e così sono gli esse­ri umani. Gli animali vivono in gruppo; similmente, agli esseri umani piace svolgere delle attività di gruppo. Gli animali hanno una struttura sociale e così gli esseri umani. Possiamo scen­dere ancor più nei particolari, ma questo è sufficiente per renderci conto che c’è moltissimo in noi che appartiene ancora all’animale.

Ed è possibile liberarci non solo dall’animale, ma anche trascenderlo di gran lunga e scoprire – non soltanto indagare ver­balmente, ma scoprire effettivamente – se la mente possa andare al di là del condizionamento della società, della cultura in cui essa è educata? Per scoprire o per imbattersi in qualcosa che appartiene a una dimensione totalmente altra, deve esserci libertà dalla paura.

Evidentemente, una reazione di autodifesa non è paura. Ab­biamo bisogno di cibo, abiti, riparo – tutti noi, non solo il ric­co, l’altolocato. Tutti abbiamo bisogno di queste cose e il pro­blema non può essere risolto dai politici. I politici hanno diviso il mondo in paesi come l’India, ciascuno con il proprio governo sovrano distinto, con il proprio esercito distinto, e tutto quel velenoso nonsenso sul nazionalismo. C’è un unico problema politico ed è realizzare l’unità umana. E questa non può essere realizzata se vi attaccate alla vostra nazionalità, alle vostre insignificanti divisioni tra Sud, Nord, Telugu, Tamil, Gujaratt e tutto il resto – diventa tutto così infantile. Quando la casa sta bruciando, signori, non si parla dell’uomo che sta portando l’acqua; non si parla del colore dei capelli dell’uomo che ha appiccato il fuoco, ma si porta dell’acqua. Il nazionali­smo ha diviso l’uomo, così come le religioni; e questo spirito nazionalistico e le credenze religiose lo hanno separato, mettendo uomo contro uomo. Ed è facile capire perché ciò è accaduto: perché a noi tutti piace vivere in un nostro piccolo disor­dine.

E così si deve essere liberi dalla paura, ed è una delle cose più difficili a farsi. La maggior parte di noi non è consapevole di aver paura e non è consapevole di ciò che teme. E quando sco­priamo ciò di cui abbiamo paura, non sappiamo che cosa fare. Così fuggiamo da esso. Comprendete, signori? Scappiamo da ciò che siamo, il che è paura; e ciò verso cui scappiamo accresce la paura. Sfortunatamente, abbiamo sviluppato un sistema di fughe. Così uno deve essere consapevole non solo delle pau­re che ha, ma anche del sistema che ha sviluppato e attraverso il quale fugge.

Ora, come si origina la paura? Avete paura di qualcosa – paura della morte, paura di vostra moglie, di vostro marito, paura di perdere il lavoro, paura di tante cose. Adesso, delle paure che avete, prendetene una in particolare e siatene consci. Procederemo a esaminare come essa si origini e che cosa possiamo fare in proposito, come risolverla completamente. Stabiliremo, poi, il corretto rapporto fra voi e chi parla. Questa non è psicologia per le masse o auto psicoanalisi per le masse, ma un’indagine intorno a certi fatti che dobbiamo affrontare insieme. Come accade che si abbia paura – paura del domani, paura di perdere il lavoro, paura della morte, paura di ammalarsi, paura del dolore? La paura implica un processo del pensiero relativo al futuro o al passato. Temo il domani, ciò che potrebbe accadere. Temo la morte; è ancora lontana ma io ne ho paura. Ora, che cosa determina la paura? La paura esiste sempre in rela­zione a qualcosa. Altrimenti non sussisterebbe. Così si teme il domani, ciò che è stato, ciò che sarà. Che cosa ha causato la paura? Non è forse il pensiero? Penso che domani potrei per­dere il mio lavoro, perciò ho paura. Potrei morire e non lo vo­glio; ho vissuto una vita squallida, orrenda, odiosa, brutale, insensibile, senza alcun sentimento e, tuttavia, non voglio morire e il pensiero concepisce il futuro come morte e io ne ho paura.

State seguendo? Per favore, non approvate meramente le parole; non ascoltate soltanto certe parole, ma piuttosto ascoltate perché quello della paura è il vostro problema. E il vostro pro­blema quotidiano, sia che dormiate sia che siate svegli. Dovete risolverlo da soli perché nessuno lo farà per voi: nessun mantra, nessuna meditazione, nessun dio, nessun sacerdote, nes­sun governo, nessun analista, nessuno lo risolverà per voi. Dovete, quindi, comprenderlo, trascenderlo. Perciò, per favore, ascoltate. Non con la vostra mente astuta; non dite: «Ascolterò e confronterò ciò che dice con quello che già so, o con ciò che è stato detto», perché allora non state ascoltando. Per ascoltare dovete prestare la vostra totale attenzione. E prestare un’attenzione totale significa aver interesse. Può esserci attenzione solo quando avete affetto, quando avete amore; il che significa che volete risolvere questo problema della paura. Quando lo avete risolto, diventate degli esseri umani, degli uomini liberi, in grado di creare un’oasi in un mondo in decadenza.

Il pensiero, dunque, genera la paura. Penso di perdere il lavoro, o che potrei perderlo e il pensiero crea la paura. Così il pensiero si proietta sempre nel tempo, perché il pensiero è tempo. Penso alla malattia che ho avuto; il dolore non mi piace e temo che possa ripresentarsi. Ho avuto un’esperienza dolorosa; pensarci e non volerla crea la paura. La paura è strettamente legata al piacere. La maggior parte di noi è mossa dal piacere. Per noi, come per gli animali, il piacere ha un’estrema importanza ed esso fa parte del pensiero. Se penso a qualcosa che mi ha dato piacere, quel piacere si accresce. Giusto? Non avete fatto caso a tutto ciò? Avete avuto un’esperienza piacevole – di un bel tramonto o di sesso – e ci pensate. Il pensarci accresce il piacere; così come pensare a ciò che per voi è stato doloroso genera la paura. Non è vero? Quindi il pensiero crea il piacere e la pau­ra. È inoltre responsabile della domanda e del prolungamento del piacere; ed è altresì responsabile del generarsi della paura, del suo determinarsi. Lo si vede; è un dato di fatto empirico.

Allora ci si chiede: «È possibile non pensare al piacere o al dolore? È possibile pensare solo quando si ha bisogno di pensare, ma non altrimenti?» Signori, quando siete in ufficio, quan­do state lavorando, il pensiero è necessario, altrimenti non potreste far nulla. Quando parlate, quando scrivete, quando ragionate, quando andate in ufficio, il pensiero è necessario. Lì deve funzionare con precisione, in modo impersonale. Li il pensiero non deve essere guidato dall’inclinazione, da una ten­denza. Lì il pensiero è necessario. Ma lo è in ogni altra sfera dell’agire?

Seguite, per favore. Per noi il pensiero è molto importante: è il solo strumento che abbiamo. Il pensiero è la risposta della memoria che è stata accumulata attraverso l’esperienza, attraverso la conoscenza, attraverso la tradizione; e la memoria è il risultato del tempo, ereditata dall’animale. E con questo bagaglio noi reagiamo. Questa reazione è il pensare. Il pensiero è essenziale a certi livelli. Ma quando si proietta psicologicamente come in termini di futuro e passato, allora crea la paura, come pure il piacere; e in questo processo la mente è resa ottusa e, di conse­guenza, l’inazione è inevitabile. Signori, la paura, come si diceva, è cagionata dal pensiero – pensare di perdere il lavoro, pen­sare che mia moglie potrebbe scappare con qualcuno, pensare alla morte, pensare a ciò che è stato, e via dicendo. Può il pensiero smettere di pensare al passato psicologicamente, con intento autodifensivo, o al futuro?

Capite la questione? Vedete, signori, la mente, cervello inclu­so, può inventare e può superare la paura. Superare la paura significa eliminarla, disciplinarla, controllarla, tradurla in qualcos’altro; ma tutto ciò implica attrito, giusto? Quando ho pau­ra, dico a me stesso: «Devo controllarla, devo evitarla, devo superarla» e tutto ciò implica un conflitto, vero? E questo conflitto è un dispendio di energia. Ma se comprendessi come si origina la paura, allora potrei occuparmene. Mi rendo conto di come il pensiero crei la paura; così mi domando: «È possibile che il pensiero si arresti, dal momento che altrimenti la paura continuerà?» Mi chiedo allora: «Perché penso al futuro? Perché penso al domani?» oppure: «Perché penso a ciò che ieri è stato piacere o dolore?»

Per favore, ascoltate con calma. Sappiamo che il pensiero crea la paura. Una delle funzioni del pensiero è quella di essere oc­cupato, di pensare sempre a qualcosa: come una casalinga che pensa al cibo, ai bambini, a rigovernare – tutto ciò è la sua oc­cupazione; toglietegliela e sarà perduta, si sentirà del tutto insoddisfatta, sola, triste. Oppure togliete Dio all’uomo che lo venera, che se ne occupa, ed egli sarà completamente perduto. Il pensiero, quindi, deve occuparsi di qualcosa; che si tratti di se stesso o di politica, oppure di come realizzare un mondo diverso, una diversa ideologia, e via dicendo. La mente dev’esse­re occupata. E la maggior parte di noi vuole essere occupata; altrimenti ci sentiremmo perduti, non sapremmo cosa fare, ci sentiremmo soli, dovremmo confrontarci con ciò che realmen­te siamo. Capite? Così, voi siete occupati; il pensiero è occupato – il che vi impedisce di guardarvi, di vedere ciò che siete realmente.

Ci interessa realizzare un mondo diverso, un diverso ordine sociale. Non ci interessano le credenze religiose e i dogmi, le superstizioni e i riti, bensì ciò che è vera religione. E, per sco­prirlo, non deve esserci la paura. Sappiamo che il pensiero ge­nera la paura e che deve occuparsi di qualcosa poiché, in caso contrario, si sentirebbe perduto. Una delle ragioni per cui ci occupiamo di Dio, della riforma sociale, di questo, di quello, di qualcosa o d’altro, è perché nel profondo di noi stessi te­miamo di restare soli, di essere vuoti. Sappiamo com’è il mon­do: un mondo di brutalità, di brutture, di violenza, di guerre, di odi, di divisioni di classe e nazionali, e così via. Sapendo esattamente come il mondo è – non come riteniamo dovrebbe essere – il nostro interesse è imprimergli una trasformazione radicale. Per farlo, la mente umana deve subire un mutamento enorme, e la trasformazione non può aver luogo se c’è una qualche forma di paura.

Ci si chiede perciò: «È possibile che il pensiero cessi, di modo che si viva in maniera completa, piena?» Vi siete mai accorti che, quando seguite completamente, quando prestate tutta la vostra attenzione a qualcosa, non c’è osservatore e, dunque, non c’è un soggetto pensante, non c’è un centro da cui osser­vare? Fatelo qualche volta; prestate tutta la vostra attenzione – non la «concentrazione». La concentrazione è la forma di pensiero più assurda, quella che qualsiasi scolaro può esercitare. Ciò di cui stiamo parlando è «attenzione» – ovvero, prestare attenzione. Se ora state ascoltando con tutto il vostro essere, con la vostra mente, con il vostro cervello, con i vostri nervi, con la vostra energia totale – ascoltando, non accettando, non rifiutando, non confrontando, ma ascoltando veramente, con attenzione assoluta – c’è un’entità che ascolti, che osservi?

Scoprirete che non c’è affatto un osservatore. Ora, quando guardate un albero, fatelo con assoluta attenzione. Ci sono tanti alberi qui; guardateli. Quando ascoltate il verso dei corvi di notte, andando a dormire, fatelo in modo assoluto. Non dite «Mi piace quel verso» o «Non mi piace quel verso». Ascol­tatelo con il vostro cuore, con la vostra mente, con il vostro cervello, con i vostri nervi, completamente. Guardate anche l’albero senza l’interferenza del pensiero – il che significa nes­suno spazio tra l’osservatore e l’osservato. Quando prestate una simile attenzione, totale e assoluta, non c’è affatto un os­servatore. Ed è l’osservatore che genera la paura, perché l’osservatore è il centro del pensiero; è il «me», l’«io», il sé, l’ego; l’osservatore è il censore. Quando non c’è pensiero, non c’è osservatore. Questo stato non è vacuo. Richiede una grandissi­ma capacità d’indagine – senza mai accettare niente.

Capite, avete accettato per tutta la vita; avete accettato la tradi­zione, la famiglia, la società quale essa è. Siete semplicemente entità che dicono di sì. Non dite mai di no a nessuna di queste cose; e quando lo fate si tratta semplicemente di una ribellio­ne. E la ribellione crea il proprio modello, che diventa, allora, abitudine, tradizione. Ma se avete compreso l’intera struttura sociale, vedrete che essa è basata sul conflitto, sulla competi­zione, sulla spietata affermazione di se stessi a qualsiasi prezzo, in nome di Dio, in nome della nazione o in nome della pace, e via dicendo.

Per essere, dunque, liberi dalla paura, prestate completa atten­zione. La prossima volta in cui la paura sorgerà nella vostra mente – paura di ciò che accadrà, o paura che possa ripetersi qualcosa che è accaduto – prestate tutta la vostra attenzione; non sfuggite; non cercate di cambiarla, di controllarla, di eliminarla; fondetevi con essa totalmente, completamente, con tutta l’attenzione. Vedrete allora, che, poiché non c’è un osser­vatore, non si ha la benché minima paura.

Un nostro tipico errore è quello di pensare che ci sia l’incon­scio; una cosa profondamente radicata che cagionerà, in forme diverse, la paura. Capite? Ogni coscienza ha i suoi limiti. Per trascendere l’entità cosciente condizionata, limitata, non è bene dividerla in «conscio» e «inconscio». C’è solo la sfera conscia; e se prestate attenzione in ogni momento, completamente, allora cancellerete l’inconscio, come pure la coscienza limitata.

L’attenzione non può essere coltivata. Non esiste nessun meto­do, sistema, pratica per mezzo dei quali si possa diventare attenti. Perché, quando mettete in pratica un metodo per stare attenti, è evidente che state coltivando la disattenzione. Ciò che vi interessa, in questo caso, è coltivare l’attenzione con l’essere disattenti. Quando seguite un sistema, un metodo, che cosa state facendo? State coltivando meccanicamente certe abitudini, ripetendo una certa attività che non fa altro che ot­tundere la mente senza affinarla. Mentre, se prestate attenzio­ne completamente, anche solo per un secondo o un minuto, allora vedrete che la totale attenzione momentanea cancella ciò di cui avete avuto paura. In quell’attenzione non c’è né l’osservatore né l’osservato. L’osservatore, allora, è l’osservato. Ma per comprenderlo, per approfondirlo, si deve indagare su tutto il problema del tempo e dello spazio.

Ma, vedete, la nostra difficoltà è che siamo così pesantemente condizionati da non guardare mai, non chiedere mai, non farci mai domande, non dubitare mai. Noi tutti seguiamo qualcuno, diciamo di sì. E la crisi attuale richiede di non seguire nessuno. A motivo della vostra confusione, non potete seguire nessuno; poiché quando siete confusi e seguite qualcuno, lo state facendo a causa della confusione, non della chiarezza. Se avete chiarezza, non seguirete mai nessuno. E quando seguite qualcuno a causa della vostra confusione, create altra confusione. Così, ciò che dovete fare è, anzitutto, fermarvi, indagare, guardare, ascoltare.

Sfortunatamente, questo paese è molto antico nella sua cosid­detta cultura. «Cultura» è una parola molto bella, ma è stata rovinata dai politici, dalla gente che ha una scarsissima capa­cità di pensiero, o ben poco di originale da dire. Così, hanno usato la parola «cultura» per coprire la propria limitatezza di pensiero. Ma, per realizzare una cultura diversa – il che significa crescere, fiorire, e non rimanere in una condizione statica – e per comprendere ciò, si deve cominciare da se stessi. Perché voi siete il risultato di questa cultura, la cultura dell’India, con tutte le sue tradizioni, superstizioni, paure, la cultura in cui sono presenti religione, divisioni sociali, divisioni linguistiche. Fate parte di tutto ciò; siete ciò; non ne siete separati. Così, non appena siate consapevoli di quello che siete, e prestiate un’attenzione totale vi renderete conto di aver immediatamen­te rinunciato a tutto ciò. Allora sarete del tutto liberi dal passato. E solo quando sarete consapevoli del vostro condizionamento che esso sparirà spontaneamente – non per mezzo di un qualche atto di volontà, una qualche abitudine; non attraverso una qualche reazione; esso cesserà solo perché vi prestate la vostra attenzione.

Ma la maggior parte di noi trascorre la vita nella disattenzione. Raramente siamo attenti. E quando lo siamo, in genere, reagia­mo in base al nostro condizionamento come hindú, buddhisti, comunisti, socialisti, o quel che si voglia. E pertanto rispondia­mo dal retroterra culturale in cui siamo stati educati. Una rea­zione del genere, dunque, crea solo ulteriore schiavitù, ulteriore condizionamento. Ma quando diventerete consapevoli del vo­stro condizionamento – siatelo semplicemente; prestate soltan­to un po’ di attenzione – allora vedrete che la vostra mente non è più divisa in conscio e inconscio, che non sta più ciarlando in­terminabilmente. La mente si fa, a quel punto, straordinariamente sensibile. Ed è solo una mente molto sensibile che può starsene in silenzio – non una mente abbrutita, non una mente che è stata torturata con la disciplina, il controllo, l’adattamen­to o il conformismo. Una mente siffatta non può mai essere quieta mediante quella ripetizione che essa definisce meditazio­ne. La meditazione è qualcosa di totalmente diverso – un argomento che approfondiremo, forse, un’altra volta.

Come si diceva, una mente spaventata, qualsiasi cosa faccia, non avrà affatto amore; e senza amore non si può costruire un mondo nuovo. Senza amore non può esserci alcuna oasi. E voi, come esseri umani, avete creato la struttura sociale in cui siete invischiati. Per staccarvi da essa – e dovete staccarvene completamente – dovete comprendere voi stessi; dovete solo osser­varvi per come siete. Allora, da quella chiarezza proviene l’azione. E allora scoprirete per conto vostro un modo di vivere differente; un modo di vivere che non è ripetitivo, che non si conforma, che non imita; una vita che è veramente libera e, quindi, una vita che apre la porta a qualcosa che è al di là di ogni pensiero.
Primo Discorso a Bombay, 1967

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