sabato 10 novembre 2012
Krishnamurti: La Fiamma e il Fumo
Aveva fatto caldo per tutto il giorno
ed era un tormento essere fuori. Il riverbero della strada e
dell’acqua, un riverbero spietato, penetrante, era reso più
intenso dalle case bianche; e la terra, ch’era stata verde,
appariva ora d’un oro brillante, tutta riarsa. Le piogge
sarebbero cadute solo di là a parecchi mesi. Il ruscello s’era
seccato e non era più ormai che un nastro serpeggiante e
sabbioso. Qualche capo di bestiame pascolava all’ombra degli
alberi e il ragazzo che ne aveva la custodia se ne stava seduto in
disparte, a gettar sassi e a cantare nella sua solitudine. Il
villaggio si trovava a qualche miglio di distanza, ed egli era tutto
solo; magro e malnutrito, ma allegro, le sue canzoni non erano poi
troppo tristi.
Oltre la collina era la casa, e noi vi
giungemmo quando il sole ormai tramontava. Dalla terrazza sul tetto
si potevano vedere le verdi cime delle palme, che si stendevano in
un’onda interminabile fino alle sabbie giallastre. Le palme
spargevano un’ombra gialla e il loro verde era d’oro. Al di là
del giallore delle sabbie, il verde grigio del mare. Onde bianche si
affollavano sulla spiaggia, ma le acque profonde erano
tranquille. Le nuvole sopra il mare si venivano colorendo, sebbene il
sole tramontasse molto lontano da loro. La stella della sera
cominciava appena a spuntare. S’era levata una brezza abbastanza
fresca, ma la terrazza sul tetto irradiava ancora calore. S’era
raccolto un piccolo gruppo di persone e dovevano essere là in
attesa da qualche tempo.
«Sono sposata e madre di parecchi
figli, ma non ho mai sentito amore; tanto che comincio a
chiedermi se esso sia mai esistito. Conosciamo sensazioni,
passioni, eccitazioni e piaceri, ma mi domando se conosciamo l’amore.
Diciamo spesso che ci amiamo, ma c’è sempre una riserva.
Fisicamente possiamo non avere riserve, possiamo darci del tutto in
un primo momento; ma anche allora c’è una riserva. Dare è un dono
dei sensi, ma ciò che soltanto può dare non si desta, è
lontanissimo. Ci troviamo e ci perdiamo nel fumo, ma quella non
è la fiamma. Perché non abbiamo la fiamma? Perché la fiamma non
brucia senza fumo. Mi chiedo se per caso non siamo diventati troppo
scaltri, troppo consapevoli di avere quel profumo. Temo di essere
troppo istruita, troppo moderna e stupidamente superficiale.
Nonostante le conversazioni intellettuali, ritengo di essere
realmente ottusa.»
Ma si tratta proprio di ottusità?
L’amore è forse un ideale luminoso, l’irraggiungibile che
diviene raggiungibile solo se certe condizioni sono state adempiute?
Ha uno il tempo di adempiere a tutte le sue condizioni? Parliamo di
bellezza, ne scriviamo, la dipingiamo, la esprimiamo nelle danze, la
predichiamo, ma non siamo belli, e non amiamo. Conosciamo soltanto le
parole.
Essere aperti e vulnerabili è essere
sensibili; dove c’è riserva, c’è insensibilità. Il vulnerabile
è l’insicuro, il libero dal domani; l’aperto è l’implicito,
l’incognito. Ciò che è aperto e vulnerabile è bello; ciò che è
chiuso è ottuso e insensibile. L’ottusità, come l’intelligenza,
è una forma di protezione dell’io. Apriamo questa porta, ma
teniamo chiusa quella, perché vogliamo la frescura della brezza solo
attraverso una particolare apertura. Non usciamo mai o apriamo tutte
le porte e le finestre nello stesso tempo. La sensibilità non è
cosa a cui si giunga nel tempo. L’ottuso non può mai divenire
il sensibile; l’ottuso è sempre l’ottuso. La stupidità non può
mai divenire intelligente. Il tentativo di divenire intelligente è
stupido. Questa è una delle nostre difficoltà, non è vero?
Noi cerchiamo sempre di diventare qualche cosa, e la stolidità
rimane.
«Allora che cosa si deve fare?»
Non fate nulla, ma siate quello che
siete, insensibile. Fare è evitare ciò che e, ed evitare ciò che è
rappresenta la forma più grossolana di stupidità. Qualunque cosa
faccia, la stupidità è sempre stupidità. L’insensibile non può
divenire il sensibile; tutto ciò che può fare è di essere
consapevole di quello che è, di lasciare che la storia di ciò che è
si squaderni. Non interferite con l’insensibilità, perché quello
che interferisce è l’insensibile, lo stupido. Porgete l’orecchio,
e vi racconterà la sua storia; non traducete o agite, ma ascoltate
senza interrompere o interpretare fino alla fine della storia. Allora
soltanto vi sarà azione. Il fare non è importante, ma l’ascoltare.
Per dare, ci deve essere
l’inesauribile. La negazione che dà è la paura di terminare e
soltanto nel termine c’è l’inesauribile. Dare non è finire.
Dare è dal molto o dal poco; e il molto o il poco è
illimitato, il fumo, il dare e il prendere. Il fumo è desiderio,
come la gelosia, l’ira, la delusione; il fumo è la paura del
tempo; il fumo è memoria, esperienza. Non c’è azione del dare, ma
solo estensione del fumo. Negare, trattenere è inevitabile, perché
non c’è nulla da dare. Dividere non è dare; la coscienza di
dividere o di dare pone fine alla comunione. Il fumo non è la
fiamma, ma noi lo scambiamo per la fiamma. Siate consci del
fumo, quello che è, senza soffiar via il fumo per vedere la fiamma.
«È possibile avere quella fiamma, o
è soltanto per i pochi?»
Se sia per i pochi o per i molti, non è
questo il punto, non vi pare? Se noi seguiamo quel sentiero, esso
potrà portare solo alla ignoranza e all’illusione. È alla fiamma
che dobbiamo pensare. Potete avere quella fiamma, quella fiamma senza
fumo? Scopritelo; osservate il fumo in silenzio, pazientemente. Non
potete dissipare il fumo, perché voi siete il fumo. A misura che il
fumo se ne andrà, verrà la fiamma. Questa fiamma è inesauribile.
Tutto ha un principio e una fine, ogni cosa e presto consumata,
logorata. Quando il cuore è vuoto delle cose della mente, e la mente
è vuota di pensiero, allora c’è amore. Ciò che è vuoto è
inesauribile.
La battaglia non è tra la fiamma e il
fumo, ma tra le diverse reazioni in seno al fumo. La fiamma e il fumo
non possono mai essere in conflitto tra loro. Per essere in
conflitto, devono essere in rapporto; e come può esservi rapporto
tra di loro? L’una è quando l’altro non è.
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