mercoledì 20 giugno 2012

Krishnamurti: Conoscenza e Libertà


La libertà e l’ambito del conosciuto – Madras, 16 gennaio 1971

Ho capito: vedo che tutto questo interessamento alla libertà – la libertà che non è una formula, che non è una conclusione – non è libertà. Giusto? Quindi, la mente dice: “Se non è questa, al­lora cos’è la libertà?”. Poi dice: “Non lo so”.
Vedo che in questa non conoscenza c’è l’aspettativa di conoscere. Quando dico di non sapere cos’è la libertà, c’è l’attesa, l’aspet­tativa di scoprirlo. Ciò significa che la mente non dice veramente di non sapere, ma sta aspettando che accada qualcosa.
Vedo questo e lo scarto.
Quindi, veramente non lo so.
Non sto attendendo o aspettandomi qualcosa. Non sto sperando che accada qualcosa, che giunga una risposta da qualche agente esterno. Non sto aspettandomi una cosa. Eccola qui. Ecco l’indizio.
So che non è “questa”. Qui non c’è libertà. C’è una riforma, ma non la libertà. Una riforma non può far mai nascere la libertà. L’essere umano si ribella all’idea di non poter essere mai libero, di essere condannato a vivere in questo mondo. Non è l’intelletto che si ribella, ma l’intero organismo, ogni percezione. Giusto? Dunque dice che, siccome non è “questa”, io non so cos’è la libertà. Non mi aspetto qualcosa, non spero o tento di scoprire cos’è la libertà. Ve­ramente non lo so. Questa non conoscenza è libertà. La conoscen­za è una prigione. È logico.
Non so cosa accadrà domani. Sono quindi libero dal passato, li­bero da questo ambito.
La conoscenza di questo ambito è una prigione, ma anche la non conoscenza di questo ambito è una prigione.
Guardate, conosco lo ieri. So cos’è accaduto ieri. La conoscenza di quanto è accaduto ieri è una prigione.
Quindi, la mente che vive in uno stato di non conoscenza è una mente libera. Giusto?
I tradizionalisti hanno sbagliato a dire: “Non provate attaccamenti”. Vedete, hanno negato qualsiasi rapporto. Non riuscivano a risolvere il problema dei rapporti e hanno detto: “Non provate at­taccamenti”, e così sono fuggiti da ogni rapporto. Hanno detto: “Siate distaccati”, e quindi si sono ritirati nell’isolamento.
Vivere con la conoscenza di questo ambito è una prigione. E anche non conoscere la prigione non è libertà.
Quindi, una mente che vive nel conosciuto è sempre in prigio­ne. Ecco tutto.
Può la mente dire “Non so”, il che significa che lo ieri è finito? È la conoscenza della continuità a essere una prigione.
Domanda: Per arrivare a questo, ci vuole una certa durezza.
Krishnamurti: Non usate la parola durezza. Ci vuole un’enorme delicatezza. Quando dico di non saperlo veramente, proprio non lo so. Punto e a capo. Guardate che succede. Vuol dire una vera umiltà, un senso di austerità. Lo ieri è finito. Allora l’uomo che ha messo fine allo ieri sta veramente ricominciando. Perciò deve essere austero. Veramente, non lo so: che cosa meravigliosa! Non so se morirò domani. Dunque non c’è nessuna possibilità di giungere a una conclusione in un dato momento, il che vuol dire non avere mai fardelli. Il fardello è la conoscenza.
D.: Si può giungere a questo punto e rimanerci?
K.: Non avete bisogno di rimanerci.
D.: La mente ha modo di tornare indietro. Le parole condu­cono soltanto fino a un certo punto. Non c’è possibilità di tornare indietro.
K.: Andiamo piano. Non mettetela così. Ora vediamo. Vediamo l’uomo che parla di distacco, vediamo l’uomo che inventa l’atman. 
Arriviamo noi e diciamo: “Guarda, hanno torto entrambi. In que­sto ambito non c’è libertà”.
Poi chiediamo: “Esiste davvero la libertà?”, e io dico: “Veramente, non lo so”. Questo non vuol dire che ho dimenticato il pas­sato. Nel dire “Non lo so” non c’è nessuna inclusione del passato, o rifiuto del passato, o utilizzazione del passato.
Dico soltanto: “Nel passato non c’è libertà”. Il passato è cono­scenza; il passato è accumulazione; il passato è intelletto. E in esso non c’è libertà.
Quando chiede se esiste davvero la libertà, l’uomo dice: “Veramente, non lo so”.
D.: Ma la struttura delle cellule cerebrali rimane.
K.: Diventano estremamente flessibili. Essendo flessibili, possono rifiutare, accettare; c’è movimento.
D.: Vediamo qualcosa come l’azione. Finora conosciamo soltan­to l’attività. Non possiamo mai rifiutare l’attività. L’attività va avanti. Mettendola a nudo, l’attività cessa di essere un ostacolo all’azione. La normale vita quotidiana è un processo che va avanti.
K.: State chiedendo cos’è l’azione? Cos’è l’azione per un uomo che non sa? L’uomo che sa agisce a partire dalla conoscenza e la sua azione, la sua attività, è sempre all’interno della prigione e proietta questa prigione nel futuro. È sempre nell’ambito del co­nosciuto.
Come si può apprendere cos’è la libertà? Non la libertà dall’oppressione, la libertà dalla paura, la libertà da tutte le piccolezze delle quali ci preoccupiamo, ma la libertà dalla causa vera e pro­pria della paura, dalla causa stessa del nostro antagonismo, dalle radici profonde del nostro essere, dove ci sono terribili contrad­dizioni, la spaventosa ricerca del piacere e tutti gli dèi che abbia­mo creato, con le loro chiese e i loro preti; conoscete il resto di questo commercio. Quindi, mi sembra che ci si debba chiedere se volete la libertà alla periferia oppure al centro stesso del vostro essere. E se volete apprendere cos’è la libertà alla sorgente stessa di ogni esistenza, dovete apprendere cos’è il pensiero. Se la que­stione vi è chiara, non la spiegazione verbale né l’idea che mettete assieme a partire dalla spiegazione, ma se ciò che percepite è veramente una necessità assoluta, allora potremo viaggiare assieme. Perché, se potessimo capire questo, tutte le nostre domande trove­rebbero risposta.
Si deve, quindi, cercare di scoprire cos’è l’apprendimento. Innanzitutto, voglio apprendere se esiste la libertà dal pensiero: non come usare il pensiero, che è il prossimo quesito. Ma può mai la mente essere libera dal pensiero? Che significa questa libertà? Co­nosciamo soltanto la libertà da qualcosa: libertà dalla paura, libertà da questo o da quello, dall’ansia, da decine di cose. Esiste, però, una libertà che non è da qualcosa, ma è libertà di per sé, in sé? E quando rispondiamo alla domanda, la risposta dipende dal pensie­ro? Oppure la libertà è la non esistenza del pensiero? Capite? E l’apprendimento significa percezione istantanea e, quindi, non richiede tempo. Non so se lo capite. È una cosa veramente importante e avvincente.
L’apprendimento implica tempo. Imparare una lingua, una tec­nica, un metodo, acquisire determinate informazioni e conoscenze riguardanti la meccanica, e via dicendo, richiede tempo, alcuni mesi, alcuni anni. Imparare il piano, il violino, una lingua, vale a dire memorizzare, praticare, acquisire conoscenze che possono essere tradotte in azione, ecco tutto ciò che ci interessa; tutti gli esseri umani si interessano soltanto a questo, perché dà loro potere, posi­zione, mezzi di sussistenza, e così via. E dico a me stesso che l’ap­prendimento deve essere istantaneo, che l’apprendimento è vedere e agire; non c’è il vedere, poi un’interruzione, e poi ancora l’agire. Ovvero: per imparare una lingua ci vuole tempo. Ma ci vuole tem­po anche per apprendere cos’è la libertà? Capite? C’è bisogno di tempo perché la mente veda che, finché funziona all’interno dei modelli di pensiero, non c’è libertà, per quanto sia espansa, per quanto siano validi e stupefacenti l’espansione e il contenuto di questa espansione? C’è bisogno di tempo per vedere questo, per apprendere la verità secondo cui la libertà non si trova entro i limiti di un modello? Giusto? Ovverosia: vi occorre tempo per vedere questa verità? Avete capito la domanda? Guardate, mi avete spie­gato cosa ha fatto il pensiero nel mondo, mi avete spiegato che un nuovo tipo di modello, anch’esso creato dal pensiero, contribuirà a mettere in atto un diverso comportamento. La vostra spiegazione e la mia accettazione della spiegazione, il processo logico, la comuni­cazione verbale, il riferimento a tutte le parole che avete usato e che mi sono tanto familiari: tutto ciò richiede tempo, giusto? E alla fine la mente non è ancora libera, resta chiusa nei limiti del mo­dello. Mi seguite come io seguo voi? E mi dite che l’apprendimen­to di ciò che è la verità è istantaneo, non richiede tempo, che il tempo è pensiero e non si usa affatto il pensiero per capire la li­bertà. Quindi, dico tra me e me, di cosa state parlando? Non capi­sco perché ho un solo strumento, che è il pensiero. E l’ho usato male, bene, in modo malizioso o nobile, ma è l’unico strumento che ho. E voi mi dite di metterlo da parte. Non imparate quali sono le attività del pensiero, che già conoscete, ma imparate – in maniera istantanea – a guardare. Imparate cos’è la libertà senza tempo. Mi seguite come io seguo voi? Capite cosa intendo? Voglio dire che la percezione è apprendimento e la percezione non richie­de tempo, e il tempo è essenzialmente il movimento del pensiero, e non potete apprendere cos’è la libertà tramite il pensiero. E per apprenderlo, il pensiero deve rimanere completamente in silenzio.
Domanda: Come può rimanere in silenzio?
Krishnamurti: Ascoltate. Non “come”; capite? Nel momento in cui dite “come”, volete un metodo, una pratica, che è ancora entro i limiti del modello del pensiero.
Quindi, mi ponete questo problema: il pensiero ha una sua fun­zione, altrimenti non potremmo comunicare tra noi. Ma per ap­prendere cos’è la comunicazione, devo imparare una lingua e, dato che voi e io conosciamo l’inglese, riusciamo a comunicare, ma per imparare l’inglese ci vuole tempo. La penetrazione introspettiva nella libertà non richiede tempo, e voi non potete avere questa in­trospezione se è in funzione il pensiero o se c’è il movimento del pensiero che dice: “Devo capire cos’è la libertà”, giusto? Allora sorge questo problema: sono abituato a usare il pensiero, che è il mio unico strumento, e sono stato allevato, educato a pensare, tutto il mio condizionamento e tutta la mia esistenza si basano su di esso, tutti i miei rapporti si basano sull’immagine creata dal pensie­ro. Poi arrivate voi e mi dite: “Non usare questo strumento, ma guarda, percepisci, apprendi, osserva introspettivamente”. E poi io dico: “Come posso avere un’introspezione se la mia mente è fortemente condizionata, appesantita da tutte le cose del pensiero, come posso liberarmene in modo da vedere il resto?”. Giusto? Avete posto il problema sbagliato. Se dite: “Devo liberarmene” – che è il processo meccanico del pensiero – avete espresso un problema sbagliato, perché non state imparando qualcosa di nuovo. Siete an­cora interessati al vecchio e, finché sarete interessati al vecchio, ri­marrete nel vecchio. Mi chiedo se afferrate tutto ciò.
Quindi, il vero problema è: Può la mente, conoscendo l’intero contenuto del passato, non interessarsene nel presente, giacché stiamo indagando su qualcosa in una dimensione totalmente diversa? E questa indagine richiede libertà, non che si debba capire il vecchio e trasportarlo, controllarlo, soggiogarlo, reprimerlo, ma bi­sogna distaccarsi completamente dal vecchio e apprendere cos’è il nuovo, il che non richiede tempo. Bene, avete afferrato? Sembra tutto contraddittorio e assurdo, ma non lo è.
D.: Il pensiero deve sicuramente precedere la percezione. Non si può fare a meno di pensare.
K.: È proprio così. Non potete fare a meno di pensare.
D.: Non è qualcosa che cade dal cielo nel vuoto.
K.: Capisco. Se volete vedere qualcosa di nuovo, cosa fate? Inventate, siete inventori. Conoscete tutto del vecchio e volete trovare qualcosa di nuovo, di totalmente nuovo. Cosa fate? Continuate con il vecchio? Il vecchio che vi è familiare, voi sapete cos’è il vec­chio, l’intero meccanismo del vecchio. Ma, se ve lo portate dietro, non potete trovare qualcosa di nuovo. Allora, cosa fate? Dovete abbandonare il vecchio. Deve esserci un’interruzione tra il vecchio e il nuovo che potrebbe nascere. Deve esserci un’interruzione. E l’interruzione ha luogo quando voi comprendete l’intero significato del vecchio, quando capite che il vecchio non può assolutamente far nascere il nuovo. Quindi, tutti noi vogliamo il nuovo perché siamo stufi, annoiati dal vecchio, e si sa cos’è il vecchio, ma quan­do vogliamo il nuovo non sappiamo spezzare la catena. Allora ecco i guru, gli insegnanti, e tutte quelle persone assurde che dicono: “Vi insegno a spezzare la catena”. E il loro modo di spezzare la ca­tena è ancora entro i limiti del modello del pensiero, giusto? Dicono: “Fate questo, non fate quello, seguite questo, pensate a quello”, e continuano a rimanere intrappolati nel sistema del pensiero. Ora, se lo capite, se ne avete una visione introspettiva, tale introspezione non richiede tempo. Non so se lo capite. Vedete all’istan­te quanto è assurda l’intera struttura religiosa, tutta l’organizzazio­ne che le sta attorno, i papi, i vescovi – mi seguite? – vedete l’as­surdità di tutto ciò? Persone adulte che giocano con cose infantili. Se ne avete una visione introspettiva, non resta più niente. Allora chiedete: “Come faccio ad avere l’introspezione?”. Il che vuol dire che, in realtà, non avete ascoltato. Vi tenete ancora attaccati alla vecchia sottana delle chiese, delle fedi e delle ideologie, e dite: “Non riesco a lasciarla perché ho paura”. “Che penseranno i vicini?”. “Forse perderò il lavoro”. Non volete ascoltare, ed è questo il problema, non come percepire la questione, come arrivarci tramite l’introspezione. Voi non date ascolto al pericolo di tutto ciò che è stato costruito dal pensiero. Ma per avere l’introspezione do­vete ascoltare, dovete lasciar andare e ascoltare. Se ascoltate quel piccione là fuori – il che vuol dire ascoltarlo senza dargli un nome, senza condannare, ascoltare veramente – quando ascoltate, avete l’introspezione. Giusto?
La libertà – la libertà assoluta, non relativa – la libertà assoluta è possibile solo quando la mente capisce il pensiero, qual è il suo posto e cos’è la libertà di pensiero, giusto? Allora, a che punto sia­mo arrivati, dopo aver detto tutte queste cose? Infatti, dopotutto, voi e io stiamo imparando insieme. Per venire qui avete speso tem­po, energie, soldi e tutto il resto, e questo soltanto per apprendere o memorizzare? Se vi limitate a imparare a memoria, non fate che ri­petere ciò che hanno detto gli altri e, quindi, diventate esseri umani di seconda mano. Invece di ripetere Lao Tse, Buddha, Marx o chi altro, adesso ripeterete ciò di cui sta parlando K., ma rimarrete sempre uomini di seconda mano; mentre, se aveste imparato, sare­ste già fuori dall’aula, lontano da tutte queste sciocchezze.

Allora, a che punto siamo? Esiste l’introspezione nella libertà, nella libertà dal pensiero? E quando c’è l’introspezione nella li­bertà dal pensiero, in questa libertà il pensiero riesce a funzionare in modo logico, sano, obiettivo, non personale. Quindi, come pos­so, io che sono così fortemente condizionato, che uso il pensiero dalla mattina alla sera, durante il sonno, il sogno e la veglia – la mente è continuamente impegnata a pensare – come può una mente simile avere un’introspezione nella libertà in cui non c’è pensiero? Vi prego di porvi questa domanda. E, quando ve la siete posta, il pensiero risponde alla vostra domanda? Se il pensiero ri­sponde alla domanda, allora non c’è libertà, ma quando vi porrete la domanda in maniera veramente seria, intensa, appassionata, quando vorrete scoprire, vedrete che esiste una libertà che non avete cercato. La ricerca è il movimento del pensiero.



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