martedì 27 marzo 2012

Krishnamurti: La Vera Meditazione


Londra, 23 Ottobre 1949
Domanda: Secondo lei, che cos’è la vera meditazione?
KRISHNAMURTI: Ora, qual è lo scopo della meditazione? E che cosa intendiamo con meditazione? Non so se voi abbiate meditato, così sperimentiamo, dunque, insieme, al fine di scoprire che cos’è la vera meditazione. Non ascoltate meramente la mia espressione di essa; insieme scopriremo e sperimenteremo, invece, che cos’è la vera meditazione. Perché la meditazione è importante, no? Se non si sa cos’è la corretta meditazione, non c’è conoscenza di sé, e senza conoscere se stessi, la meditazione non ha senso. Sedersi in un cantuccio o passeggiare in giardino o in strada, e cercare di meditare non ha senso. Conduce soltanto a una particolare concentrazione, che è esclusione. Sono sicuro che alcuni di voi hanno provato tutti quei metodi. Ossia, cercare di concentrarsi su un particolare oggetto, tentare di indurre la mente, quando essa vaga per ogni dove, a essere concentrata; e quando ciò non vi riesce, pregate.

Se si vuole, quindi, comprendere davvero che cos’è la corretta meditazione, si deve scoprire quali sono le cose false che abbiamo definito «meditazione». In verità, la concentrazione non è meditazione perché, se osservate, nel processo della concentra­zione si ha esclusione e, pertanto, distrazione. Cercate di concentrarvi su qualcosa e la vostra mente divaga in direzione di qualcos’altro, e questa battaglia costante per esser fermi su un punto, mentre la mente si oppone e divaga, va avanti. E così stia­mo degli anni a cercare di concentrarci, di apprendere la con­centrazione, che viene erroneamente chiamata meditazione.

Poi c’è la questione della preghiera. La preghiera, evidentemente, produce dei risultati; in caso contrario milioni di persone non pregherebbero. E nel pregare, ovviamente, la mente si tranquillizza; mediante la ripetizione costante di certe frasi, la mente si fa quieta. E in quella quiete c’è un qualche cenno, certe percezioni, certe risposte. Ma ciò fa ancora parte dell’im­broglio della mente, perché, dopo tutto, mediante una forma di mesmerismo potete rendere la mente estremamente quieta. E in quella quiete vi sono certe risposte misteriose, che sorgono dall’inconscio e dall’esterno della coscienza. Ma si tratta ancora di uno stato in cui non c’è alcuna comprensione.

E la meditazione non è devozione – devozione a un’idea, a una figura, a un principio – perché anche gli oggetti della mente sono da idolatra. Si può non venerare una statua, ritenendolo da idolatra e sciocco, superstizioso; ma si venerano, come fa la maggior parte della gente, gli oggetti nella mente – e anche que­sto è da idolatra. Ed essere devoti a una figura, a un’idea o a un Maestro, non è meditazione. In verità, è una forma di fuga da se stessi. È una fuga molto confortante, ma è pur sempre una fuga.

E, ovviamente, neanche questo costante sforzarsi di diventare virtuosi, di acquisire la virtù tramite la disciplina, per mezzo dell’attento esame di se stessi, e via dicendo, è meditazione. La maggior parte di noi rimane intrappolata in questi processi e, poiché essi non portano alla comprensione di noi stessi, non costituiscono il sentiero della corretta meditazione. Dopo tutto, senza comprensione di voi stessi, quali basi avete per un corretto pensare? Tutto ciò che farete senza quella compren­sione di voi stessi è adattarvi all’ambiente, alla risposta del vo­stro condizionamento. E una simile risposta al condizionamento non è meditazione. Ma essere consapevoli di quelle risposte, ossia, essere consapevoli dei moti del pensiero e delle sensazioni senza alcun sentimento di condanna – cosicché siano compresi i movimenti del sé, le vie del sé – quello è il sen­tiero della corretta meditazione.

La meditazione non è un ritiro dalla vita. La meditazione è un processo di comprensione di se stessi. E quando ci si comincia a comprendere, non solo il conscio, ma anche tutte le parti recondite di sé, ecco giungere allora la tranquillità. Una mente resa calma con la meditazione, la costrizione, il conformismo, non è calma. È una mente stagnante. Non è una mente vigile, passiva, capace di ricettività creativa. La meditazione richiede una vigilanza costante, una costante consapevolezza d’ogni pa­rola, d’ogni pensiero e sensazione che riveli lo stato del nostro essere, il riposto come il superficiale; e trattandosi di una cosa ardua, fuggiamo in ogni sorta di cosa confortante, ingannevole e la chiamiamo meditazione.

Se si è in grado di vedere che la conoscenza di sé è l’inizio della meditazione, allora il problema si fa straordinariamente in­teressante e vitale. Poiché, alla fin fine, se non c’è la conoscen­za di sé, potete praticare ciò che chiamate meditazione e tuttavia essere attaccati ai vostri principi, alla vostra famiglia, alla vostra proprietà; oppure, rinunciando alla vostra pro­prietà, potete essere attaccati a un’idea, così concentrati su di essa che la alimentate sempre di più. In verità, quella non è meditazione. Così, la conoscenza di sé è l’inizio della medita­zione; senza conoscenza di sé non c’è meditazione. E man mano che ci si addentra più a fondo nella questione della cono­scenza di sé, non solo la mente in superficie diventa tranquilla, quieta, ma vengono rivelati anche i diversi strati più riposti.

Quando la mente in superficie è quieta, allora l’inconscio, gli strati riposti della coscienza si proiettano; rivelano il proprio contenuto, danno i propri segni, cosicché viene compreso in pieno l’intero processo del proprio essere.

La mente si fa, dunque, estremamente quieta – è quieta. Non è resa quieta, non viene costretta a essere quieta da una ricom­pensa, dalla paura. Allora c’è un silenzio in cui viene in essere la realtà. Ma quel silenzio non è il silenzio cristiano, o il silenzio hindú, o il silenzio buddhista. Quel silenzio è silenzio, non nominato. Pertanto, se seguite il cammino del silenzio cristiano, o hindú, o buddhista, non sarete mai silenziosi. Un uomo che vo­glia, quindi, trovare la realtà deve abbandonare del tutto il suo condizionamento – che sia cristiano, hindú, buddhista, o di qualche altro gruppo. Il mero rinsaldare lo sfondo culturale mediante la meditazione, il conformismo, determina il ristagno della mente, il suo ottundimento; e io non sono affatto sicuro che ciò non sia quanto la maggior parte di noi vuole, perché è molto più facile creare un modello e seguirlo. Ma liberarsi dello sfondo culturale richiede vigilanza costante nei rapporti.

E una volta che ci sia quel silenzio, si ha, allora, uno stato straordinario, creativo – non che dobbiate scrivere poemi, o dipingere quadri, potete o non potete. Ma quel silenzio non deve essere perseguito, copiato, imitato – in quel caso cessa di essere silen­zio. Non potete pervenirvi attraverso nessun cammino. Si origi­na solo quando siano comprese le vie del sé, e il sé, con tutte le sue attività e i suoi danni, giunga al termine. Ossia, quando la mente cessa di creare, c’è creazione. Pertanto, la mente deve farsi semplice, quieta, deve essere quieta – il «deve» è sbagliato; dire che la mente «deve» implica costrizione. E la mente è quie­ta solo quando l’intero processo del sé è giunto al termine. Quando viene compresa la totalità delle vie del sé e sono, quin­di, terminate le attività del sé, allora soltanto c’è silenzio. Quel silenzio è vera meditazione, e in quel silenzio si origina l’eterno.

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